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RICORDARE.

 di Luca Ronchi

Il Liceo delle Scienze umane “G. Garibaldi” di La Maddalena, per la Giornata della memoria, riscopre le parole di Antonio Gramsci. Parole pesanti in grado di scuotere chiunque a distanza di oltre un secolo. Le studentesse e gli studenti, coordinati dalla prof.ssa Daniela Donatini, nell’ambito delle attività di educazione civica, hanno creato un manifesto provocatorio dal titolo: “27 gennaio la giornata dell’oblio”, con lo scopo di far riflettere e di smuovere coscienze.
“Vivere significa partecipare e non essere indifferenti a quello che succede” scriveva Gramsci su La Città futura, l’11 febbraio 1917; e ancora: “L’Indifferenza […] è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera”.
La provocazione vuole mettere sotto la lente d’ingrandimento l’uso superficiale della parola “memoria”. Qualunque cosa, se lasciata in balia di una memoria di circostanza, rischia di essere dimenticata. Vale per la Shoah, la catastrofe per eccellenza, vale per ogni quotidiana tragedia. E vale soprattutto oggi, poiché il nostro sistema commerciale/culturale lavora a indebolire la dimensione collettiva e sociale a vantaggio di quella social, scoraggiando la memoria critica.
La memoria andrebbe pensata come un albero che ha radici nel presente e che verso il passato protende i rami, alla ricerca di ciò che vale la pena ricordare. Ma le radici sono qui, ora, ed è qui che l’albero va coltivato e nutrito. Le radici della nostra memoria siamo noi.
Memoria e oblio sono due processi vitali di pari importanza. Dimenticare serve, consente di fare spazio al nuovo. L’oblio sta alla coscienza, personale o collettiva, come la morte naturale sta alla Vita. Allo stesso modo non sarebbe possibile sopravvivere a nulla senza la capacità di ricordare. Ricordare significa avere una mappa del mondo come è stato fino a oggi, una mappa del tempo. Significa poter capire come siamo arrivati fin qui, e che senso possiamo dare al fatto di esserci ancora, e di volere che qualcosa continui, dopo di noi.
Vita e memoria, dunque, oblio e scomparsa.
Il sistema economico-culturale in cui siamo affogati, però, tende a capovolgere le cose, a confondere il confine tra memoria e oblio. Viene premiato il continuo ricordo delle cose effimere, l’impegno cognitivo verso il futile. Non viene premiato altrettanto il ricordo delle cose importanti, quelle successe ieri oppure 10, 20, 30 anni fa: la pulizia etnica davanti alla porta di casa, durante la guerra nei Balcani; le persone che non hanno mai smesso di migrare, di alimentare il flusso di carne che dall’Africa si sposta verso la grassa Europa. Essendo le cronache ormai povere di barconi ribaltati e bambini in mezzo alla neve, vengono dimenticati i lager libici. Viene dimenticata la guerra del saggio e progredito occidente contro leader non più utili, i Gheddafi e i Saddam Hussein, la guerra contro i loro paesi e le persone che ci vivevano. Forse 200.000 morti in Afghanistan. Forse 250.000 in Iraq. Forse molti di più. Non viene ricordata, ed è il primo passo per dimenticarla, la morte di Lorenzo Parelli, ucciso durante le attività di alternanza scuola-lavoro. Non vengono ricordati i suoi compagni e coetanei, scesi in piazza per protestare e manganellati dalla polizia, chiamata ancora una volta a proteggere il potere.
Molte delle cose che vale la pena ricordare, i ragazzi non le hanno vissute, e se non ne sentono parlare rischiano di finire in qualche nicchia o direttamente cancellate. È un problema? Non so, forse no. Quel gioco di equilibrio tra memoria e oblio dovrebbe funzionare così, qualcosa viene dimenticato e lascia il posto a qualcosa che è più urgente ricordare, per restare vivi, per tenere in piedi il mondo che conosciamo e quello che vorremmo vedere. Serve magari che le madri e i padri insegnino non tanto cosa ricordare, ma come e perché farlo. La nostra società non lo fa abbastanza. Collettivamente, sembra che ricordare non ci interessi più.
Il lavoro dei ragazzi del Liceo delle Scienze umane, allora, serve a ricordarci la necessità di un uso costante e ampio della memoria. Un uso non scontato, che è un uso senza sconti. E poiché, come dicevamo, la nostra memoria è qui, in noi, ora, sta a noi dispiegarla alla ricerca di quello che abbiamo vissuto, visto e sentito pochi anni o poche ore fa. Sta a noi, a ognuno di noi, scegliere se restare o no indifferenti di fronte al fatto che, sì, il Nazismo è un processo unico e, speriamo, irripetibile, ma la pulizia etnica invece era pane quotidiano fino a ieri, e potrebbe esserlo anche oggi, anche in questo preciso istante. Sta a ognuno di noi ricordare che si moriva di lavoro agli albori della rivoluzione industriale, e si muore di scuola/lavoro anche nella ricca Italia di oggi.
Ricordare, in questo tempo di facile e istantaneo oblio, è scegliere di ricordare, e di non restare indifferenti. È scegliere di darsi un pizzico per restare svegli.
I ragazzi del Liceo delle Scienze umane non sono indifferenti e hanno scelto il Giorno della memoria, per ricordare a tutti noi di ricordarci chi siamo, chi siamo stati, e cosa potremmo diventare.

 

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