Siamo tutti (o quasi) convinti della necessità di eseguire quanto prima uno sciopero generale che coinvolga la città. Ma attenzione, non facciamoci prendere la mano da comportamenti e da reazioni strumentali. Lo sciopero generale non deve essere la valvola di sfogo delle nostre frustrazioni, che inevitabilmente si accumulano quando le cose non vanno come noi speravamo. Non dobbiamo lasciarci sopraffare dai vuoti sentimenti che si identificano nel ‘tanto peggio tanto meglio’, o, ancor peggio, nella caccia al capro espiatorio su cui riversare la rabbia e i disagi. Innanzitutto, infatti, abbiamo bisogno di autocontrollo e di autodisciplina, ma anche di capire cosa stiamo facendo. Lo sciopero è una protesta civile verso una situazione di disagio. Nell’accettare l’invito alla manifestazione chiediamo dunque che sia una manifestazione sostenuta da tutti, ma sia anche un momento di aggregazione di fronte a un problema vero e reale: la crisi economica che paralizza la città. Per un vezzo antico e mai definitivamente sconfessato noi isolani siamo portati ad essere diffidenti anche dei nostri vicini, anche degli amici a volte, e tendiamo ad autocommiserarci, mancando sul nascere il primo obbiettivo dello sciopero: la solidarietà dell’uno verso l’altro, l’aiuto e il sostegno reciproco. Se le cose vanno male, vanno male per tutti, non per noi sì e per il nostro vicino no. Siamo tutti sulla stessa barca, anzi sulla stessa … isola. Quindi dobbiamo fare blocco, fare squadra, mostrare gli attributi (maschili o femminili che siano) di fronte a una situazione che seppur nazionale, qui assume delle caratteristiche sue proprie, peculiari, uniche, che fanno massa con la mancata continuità territoriale, con il mancato finanziamento alle compagnie di traghetti, il caro trasporti, i programmi economici sbagliati, le cattedrali nel deserto, le ruberie, le prese per i fondelli, ecc, ecc. Spediamo una cartolina al sindaco, facciamo vedere finalmente che chi comanda è la gente non le poltrone.
Però …. Mi permetto di esporre un ‘però’. Però ad ogni azione popolare dovrebbe corrispondere una parallela azione politica. Facciamo quindi assieme un esame di coscienza serio. Fino a qualche anno fa nessuno di noi pensava alla crisi, partita da lontano ovviamente, ma – pensavamo tutti – a La Maddalena non arriverà. Il guscio duro dello Stato ci aveva sempre schermato dalle tempeste economiche (qualcuno ricorda la crisi petrolifera del ’73? Qui ci scherzavamo su!) e ci permettevamo di legarci a quello o all’altro calesse con eccessiva disinvoltura uscendo inevitabilmente dai circuiti politici che contano. Basta! Se vogliamo contare qualcosa dobbiamo diventare un pugno chiuso, dobbiamo arrivare alle stanze dei bottoni. Fra nemmeno di un anno ci saranno le elezioni regionali. Pensiamoci sopra un attimo, pensiamo quanti sgarbi ci hanno fatto a Cagliari e ci hanno fatto a Roma. Facciamo pure lo sciopero compatti ma andiamo anche compatti alle urne, con un solo candidato alle elezioni regionali. Innanzitutto pensiamo a noi stessi!
Se no questo sciopero non servirà a nulla un’altra volta.
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