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Parole come algoritmo, blockchain, piattaforma, shadow banning, cloud computing, hackeraggio o intelligenza artificiale vengono usate, recepite e rilanciate dai giornali ogni giorno. Che sia un giornalista che si trova a raccontare di una rete di hacker, o un notista politico che tenta di raccapezzarsi con la strategia pro blockchain del Governo, è innegabile che la nostra categoria si trovi di fronte ad una mole di concetti informatici che non sempre riesce a comprendere e a spiegare correttamente al lettore. In questo modo delle parole di per sé “esatte” e precise, si trasformano in termini di significato incerto ed ambiguo. Il lessico tecnologico è quindi famigliare (per diffusione) quanto estraneo (per comprensione) rischiando spesso di generare un’informazione fuorviante. E’ il caso ad esempio dell’abuso del termine “intelligenza artificiale” il cui impiego a sproposito da parte della stampa mondiale ha portato al fatto, denunciato da una recente ricerca, che “quasi la metà delle startup europee dell’AI non ha niente a che vedere con l’intelligenza artificiale”, ma la sbandiera per essere più appetibile sul mercato “visto che tutti ne parlano”. Il corso della durata di tre ore analizzerà quindi le parole chiave legate alla tecnologia informatica che ricorrono sempre più spesso sui nostri giornali, spiegandone le origini, la storia, l’etimologia, il lato tecnico e il reale concetto informatico che c’è dietro, in maniera pratica e comprensibile Perché se “l’informazione non è un algoritmo”, è importante che anche il giornalista sappia che cosa significhi precisamente questo termine.

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