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AGHI DA INSULINA: IN GALLURA VENGONO PRESCRITTI QUELLI CHE RIDUCONO RISCHI DI INFARTI E ICTUS.

Su Diabetology una review della letteratura su aspetti tecnici e psicologici dell’iniezione di insulina con la penna.

Anche l’ago riveste un ruolo fondamentale nella corretta somministrazione dell’insulina ed è uno strumento indispensabile per ridurre il rischio di patologie tempo-dipendenti. Per questo in Gallura si utilizza il Gold Standard 32G x 4 millimetri che aumenta l’aderenza del paziente al trattamento, riducendo la possibilità di saltare alcune punture per paura del dolore e migliorando le modalità di assunzione dell’insulina. L’approccio è stato messo nero su bianco in uno studio della Simdo pubblicato sulla rivista internazionale Diabetology con il contribuito del dottor Giancarlo Tonolo, Direttore dell’Unità Operativa di Diabetologia della Asl Gallura. L’approfondimento ha trovato spazio anche in diverse testate nazionali, come la Repubblica, il Secolo XIX e La Stampa, ed è scaricabile integralmente a questo link: https://doi.org/10.3390/diabetology5030021.

«In Gallura abbiamo circa 10500 pazienti diabetici, dei quali 1150 di tipo 1 e 1350 del tipo 2 che fanno terapia insulinica intensiva. Ai pazienti presi in carico dalla Asl Gallura prescriviamo questo tipo di ago per diversi motivi. Dobbiamo considerare – sottolinea Tonolo – che non si tratta di una terapia limitata nel tempo ma per tutta la vita. Stiamo parlando di circa 1450 iniezioni in un anno che per un diabetico di tipo 1 sono più di 100mila in tutta la vita. Con aghi più lunghi si usa la tecnica del “pizzicotto” ma si perde la possibilità di iniettare insulina nelle braccia. Con gli aghi 32G x 4 millimetri si possono ruotare i siti di iniezione, evitando la comparsa di lipodistofie cutanee che possono rendere erratico l’assorbimento dell’insulina». Dalla pubblicazione emerge come l’ago per la penna di insulina non sia semplicemente un ago, ma vada considerato come un elemento fondamentale per la terapia anche in chiave di prevenzione cardiovascolare. Un cattivo compenso metabolico porta allo sviluppo di placche aterosclerotiche nel tempo e aumenta la cardiopatia ischemica. Non solo: chi soffre di neuropatia legata al diabete rischia di avere una cardiopatia ischemica silente, cioè di poter avere un infarto senza sintomatologia e quindi non accorgersene. Ancora: un’ipoglicemia grave attiva il sistema adrenergico, quindi induce un quadro simile a quello che abbiamo dopo una corsa sfrenata. Quindi se il paziente ha una cardiopatia ischemica può sviluppare un infarto perché è come se sostenesse uno sforzo fisico intenso in quel momento. Il controllo ottimale della glicemia e della insulina resistenza riduce questi effetti, ma deve essere costante e prolungato nel tempo.

«C’è un altro elemento da considerare: è il rapporto diametro esterno-diametro interno. E’ fondamentale per permettere, nonostante la forte riduzione del calibro esterno, di mantenere un calibro interno che consenta un flusso ottimale della insulina che passi velocemente dalla penna al sottocute. In questo senso si può pensare ai bisogni di persone anziane con tremori, per cui fare l’iniezione in condizioni diverse da queste esporrebbe ad una iniezione di insulina inefficace. Tutto ciò porta ad un migliore compenso metabolico, che anche nel diabete tipo 1 è importante per ridurre le malattie cardiovascolari e, soprattutto, evita iniezioni di quantità “random” di insulina, che se in eccesso possono portare a ipoglicemia con le conseguenze immaginabili: in persone anziane con malattia cardiovascolare in atto si possono tradurre in comparsa di infarto miocardico acuto o ictus», conclude dottor Tonolo.

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