Caro Antonello,
ti sono infinitamente grato per l’occasione che mi fornisci, che è quella di parlare del mai troppo compianto Franco Nardini. Sono passati, ormai sei anni dal giorno in cui ha deciso, lui o chi per lui- ognuno di noi consideri la cosa in base alla propria natura umana e cristiana- di partire. Certo, lui aveva ancora tanta voglia di vivere e di occuparsi delle sue passioni: il giornalismo e la cultura in genere. La sua morte, improvvisa, ci ha colto tutti di sorpresa. Non sto costruendo ordinarie frasi di circostanza. Ti confesso che per buttare giù queste righe ho dovuto superare intralci mentali importanti.
Non trovo le parole giuste per definire una relazione umana e professionale finita repentinamente e, accidentaccio, senza una benché minima provi di appello.
Ci sono parole che ci fa paura pronunciare, verso le quali nutriamo repulsione: fine, distacco.
Franco Nardini, qualche anno fa, mi ha regalato un suo libro. La dedica che accompagnava il dono era la sintesi del legame tra due persone diversissime tra loro per carattere e per tempra. Riflessivo e paziente lui, impulsivo e insofferente io. Dicevo, Franco, mi aveva definito, il “compagno prediletto di innumerevoli viaggi culturali”.
Franco era un intellettuale a trecento sessanta gradi, uno storico scrupoloso, uno scrittore talentuoso, un archeologo appassionato, un poeta che “navigava sulla cima di un iceberg”: un umanista, a volte sofferente e malinconico, ma mai ostile.
Non era solo la cultura, però, ad avvicinarci. Era altro di indefinibile, di magnetico direi
Penso ai luoghi, che resteranno d’ora in poi, solo luoghi della memoria. E allora lasciami parlare per immagini, perché non ho nessuna voglia di scrivere un banale coccodrillo.
Cala Gavetta e i tanti caffè, rigorosamente macchiati e serviti in un bicchierino di vetro. Le attese nella piazza della chiesa: la messa era finita ed era l’ora di rientrare a casa, almeno per lui e per la sua signora. I pomeriggi passati a dare la caccia all’editore Paolo Sorba che trovava sempre una scusa plausibile per ritardare la pubblicazione del nostro libro.
Queste fotografie degli ultimi tempi saranno quello che accompagneranno il ricordo, che niente e nessuno potrà sottrarci. Nemmeno chi ha deciso che la corsa è finita, e che è arrivato il momento di scendere.
Se vado a ritroso, recupero i nostri primi pezzi, che risalgono a trenta anni fa, pubblicati su riviste durate in edicola lo spazio di un numero zero. E le radiocronache allestite sotto una pioggia incessante, da una postazione traballante dal “pratino” del campo sportivo. Ancora, Radio Arcipelago, fine anni Settanta. Radio e Tele Maddalena, dal 1985 fino alla chiusura. Di più: il gruppo della rivista Sardegna Nord, diretta dal versatile Giovanni Gelsomino. Può bastare? No, di sicuro. Penso a tutto quello che abbiamo concluso o che abbiamo lasciato incompiuto. È stato un poco come nelle antiche fiabe. Ti è dato un numero di desideri da esprimere. Si potranno realizzare solo se sei capace di sfruttare fino all’ultimo secondo il tempo che ti è stato assegnato.
Ora vorrei fare parlare Franco, se mi è ancora permesso: “Iniziai a collaborare con Radio Maddalena nell’estate del 1985, interessandomi della rubrica sportiva.
La ‘specializzazione’ in argomento sportivo l’avevo maturata in un’atra radio locale, Radio Arcipelago, dove mi ero interessato di calcio e di sport in generale sin dal 1978.
Tanti anni di gavetta sul campo mi avevano insegnato parecchi trucchi del mestiere, avevo assorbito l’ambiente dello sport isolano. Era un lavoro che facevo volentieri perché mi piaceva.
Allo stadio avevamo un piccolo mixer su cui collegavamo il microfono per trasmettere e una radio portatile per “copiare” il collegamento.
Chi restava in studio, di quando in quando, chiamava. Noi lo sentivamo, aprivamo il collegamento e andavamo direttamente in onda, per ragguagliare e per aggiornare gli ascoltatori sugli evoluzioni della partita.
Parlo al plurale perché, per fare ‘questa cosa, bisognava essere in due, almeno.
In quelle mitiche sgroppate al Comunale, intitolato da qualche anno alla memoria del medico Pietro Secci- che fu per lunghissimo tempo presidente dell’Ilva- mi accompagnava Tore Abate.
Oltre che un grande amico, Tore era un grande collaboratore a tutto tondo, amava l’arte del cronista tanto quanto me, pur essendo poco più che un ragazzino. In due abbiamo confezionato, a prezzo di tanti sacrifici, degli autentici spezzoni della storia del calcio isolano degli anni Ottanta del secolo scorso. Quelli che precedettero e che seguirono immediatamente l’irripetibile stagione in serie C2 dell’allora Ilvarsenal e Ilvamarisardegna.
Sarebbe davvero interessante risentire quei pezzi che, realizzati con autentici mezzi di fortuna, non avevano nulla da invidiare ai più noti radiocronisti di allora e di oggi.
Sfruttavamo tutte le occasioni, pur di strappare qualche commento a qualcuno.
Quella era la magia della radio. Far dire senza essere visti, poter fare dietro un fondo buio, da cui usciva solo voce e sonoro.
Ne approfittavamo, magari inscenando interviste telefoniche che gabellavano come raccolte qualche ora prima sul terreno di gioco.
Ma era fatto tutto sul serio, comunque. E perfettamente in linea con la “par condicio”, funzione sostanziale dell’informazione, senza la quale l’informazione, semplicemente… non esiste!
Da rammentare che allora non esistevano i telefoni cellulari. Sarebbe stato un gioco facile!
Quello era radio-giornalismo archeologico, inimmaginabile per chi ha, oggi, a disposizione le immense risorse della comunicazione interattiva.
Tutto questo accadeva la domenica pomeriggio. Dopo c’era il lunedì dei commenti e delle opinioni sul calcio giocato il giorno prima.
All’inizio ripassavamo quasi sempre le interviste, sudate da matti del giorno prima, a cui aggiungevamo i commenti nostri sulle classifiche dei gironi, sui gol segnati dalle varie squadre. Ripetevamo i risultati, le formazioni e i fatti salienti delle partite che avevamo visto. Insomma, allungavamo il brodo… e la trasmissione bene. Anche perché, non essendo visti da chi ci ascoltava, portavamo in studio almanacchi e fogli sciolti per ricavare notizie e tutto quanto ci serviva per l’ora di diretta in studio.
Una mia “fissa” era quella di fare i riferimenti su tutti i parametri delle squadre: goals segnati, goals subiti, vittorie esterne, vittorie interne…
Così facendo, guadagnavamo del tempo prezioso per ricaricare i registratori e per tirare fuori le cose che dovevamo fare da cornice alla chiacchierata sugli avvenimenti sportivi.
Si parlava anche di pallavolo, di pallacanestro e di altri sport, considerati a torto minori, che si praticavano all’Isola.
Quando venne introdotta la ripresa televisiva in studio- era nata nello stesso anno 1985 l’emittente Tele Video Maddalena, in sigla TVM- allora cercavamo di portarci qualche giocatore, l’allenatore dell’Ilva o del Maddalena.
La visone diretta dei fatti era l’arma vincente della tv. Io cercai sempre di ricordarmene al punto che ritenevo incompleto un servizio di una certa lunghezza non corredato dalle immagini. Potevano essere di repertorio, ma dovevano esserci.
Ma torniamo alla rubrica sportiva.
Il mio impegno iniziava, ovviamente, il sabato. Alle ore 18,30 circa andava in onda Anteprima Sport, una trasmissione, prima radiofonica, poi televisiva, che ricordo con piacere perché era molto seguita, specialmente dagli sportivi isolani che incontravo il giorno dopo al campo e che spesso mi facevano rimarcare qualche piccolo errore, dimostrando un’attenzione particolare.
La domenica si andava al campo e il lunedì si mandava in onda. Lo sport del giorno dopo.
Questa trasmissione prese avvio alla metà circa del campionato 1984/1985.
Nella primavera di quell’anno entrammo a far parte del giornale televisivo che si chiamava, e si è chiamato per tanto tempo, Notiziario flash, introdotto da quella musichetta che è restata un mito essa stessa al pari della trasmissione.
La televisione funzionava per la messa in onda del telegiornale pomeridiano, condotto in studio da Pinuccio Farina e da Tina Sulas, una coppia di giornalisti che ha informato di sé un’intera epoca della storia dell’Isola.
“Gentili signore e signori dagli studi di Tele Video Maddalena va in onda il notiziario flash. In studio…”.
Questo era l’annuncio che doveva fare ad alta voce sul teleschermo colui che apriva le trasmissioni, nel momento in cui andava in onda il notiziario flash, dopo che il maestro Nino Abis o suo figlio Nicky avevano battuto il rituale uno, due, tre… Si partiva. Rigorosamente senza rete! Quasi sempre dopo avere preparato argomenti e scaletta scribacchiando su fogli volanti o riprendendo spunti dalle pagine de La Nuova Sardegna o de L’Unione sarda, che erano aperte sulle notizie locali.
Ma era amore e, si sa, l’amore supera parecchie avversità!
I servizi, anche sportivi, come le partite di pallavolo della Unione sportiva Garibaldi o di pallacanestro dell’Efisio Corona, o altri avvenimenti pubblici di rilievo, venivano portati in studio da parecchi operatori “professionisti dilettanti”. Ricordo Giacomo Mandras, Michele Marzorati, Enzo Borrelli, Angelo Bulciolu, Filippo Pastorelli, Franco Pisano, lo stesso Nichy Abis. Era fatto il montaggio in studio e i filmato erano mandati in onda tramite operazioni di mixage alla consolle, dirette dal maestro Nino Abis in persona, e commentati poi in studio.
Ricordo che, con l’ausilio di Michele Marzorati, riuscimmo a far vedere quasi tutte le partite dell’Ilva di quella stagione.
Lo seguii, a metà maggio, anche a Fertilia, per riprendere una gara molto attesa dai supporters biancocelesti, perché poteva significare un piazzamento di riguardo nella classifica del girone a qualche giornata dal termine del campionato.
Purtroppo, l’Ilva perdette per 1-0, ma le eccellenti riprese e il pacato commento che noi riportammo indietro da Fertilia stavano a dimostrare la presenza di un’equipe sportiva ottima, e di una professionalità che faceva onore allo sport isolano.
Gli anni che vanno dal 1986 al 1990 furono gli anni più belli, forse quelli in cui Tele Video Maddalena ebbe i picchi di ascolto maggiori, anche perché era un’emittente che aveva a disposizione una schiera di giornalisti non da poco. In quegli anni collaboravano con la testata del maestro Abis, spesso simultaneamente, parecchi reporter che sarebbero diventati in futuro buoni giornalisti, o lo erano già.
A parte Pinuccio Farina e Tina Sulas, ricordo con piacere Andrea “Peone” Nieddu, Antonello Sagheddu, Tore Abate, Mario D’Oriano, Aldo Chirico, Romeo Armellini, Danilo Tonelli.
Sfido qualunque emittente di quel periodo in Sardegna a dimostrare di avere avuto un “cast” di giornalisti di buon livello come li aveva TVM in quella metà degli anni Ottanta, e le sfuriate, spesso i diverbi e i dissensi, erano il collante che faceva di noi un gruppo forte, forte della propria volontà di continuare a fornire notizie, innanzitutto, e capace anche di divertirsi.
In occasione delle elezioni amministrative del 1988 noi tutti inscenammo una specie di trasmissione tipo, “Le elezioni in diretta”, che trovò consensi unanimi, in tutti i telespettatori. Uno di noi stava davanti alle telecamere, ripetendo tutti i risultati giunti fino a quel momento in redazione, quattro o cinque galoppini da noi assoldati correvano nelle sezioni a recuperare i dati che venivano enunciati. Tore Abate e io andavamo e venivamo dal centro operativo comunale, dove affluivano tutti i risultati delle sezioni, candidato per candidato. Fu un exploit sensazionale, al livello delle più acclamate emittenti sarde del momento.
Un altro bellissimo pezzo di quei tempi, che riscosse gli elogi incondizionati del direttore Pinuccio Farina, e del compianto Aldo Chirico, fu il reportage storico, messo su da me, da Tore e da Enzo Borrelli, in occasione de 45° anniversario della prigionia di Benito Mussolini a Villa Webber.
Studiammo bene la storia descritta nel libro di Aldo Chirico. Io scrissi una specie di canovaccio per le riprese televisive, del tipo “inquadra qui, allarga l’obbiettivo là, riprendi il mare, vai sulla casa…”. Poi salimmo sul poggio che domina Villa Webber per fare le riprese. Per passare attraverso la boscaglia ci graffiammo come dei condannati, venimmo inseguiti dai cani dei custodi della villa. Enzo perdette, e quasi sfasciò, una superba cinepresa, fummo minacciati di denuncia per violazione di proprietà privata, ma, infine riuscimmo a fare delle splendide riprese della villa e dei suoi dintorni, ancora non soffocata dalle colate di cemento di oggi. Alla fine, i custodi di Villa Webber smisero di correrci dietro, capirono la situazione e ci invitarono a fare delle riprese all’interno. Qualcosa che, probabilmente, nessun operatore aveva mai fatto, dai fatti dell’agosto del 1943. Chissà che fine sarà toccata a quel video? Quando presentammo il lavoro in tv, dopo avere registrato, sopra le immagini ben montate da Enzo, le nostre voci che raccontavano gli avvenimenti, ci guadagnammo gli elogi di tutti, e quello, soltanto quello, ci ripagò delle tribolazioni, anche fisiche, che avemmo a sopportare.
Un’altra trasmissione che fece epoca, eravamo attorno al 1987, fu quella che noi titolammo Bar Sport. In realtà si trattava di andare presso i vari bar de La Maddalena e di parlare, rigorosamente il sabato sera, con gli avventori delle partite in programma il giorno dopo, a livello locale. Ovvero, dei campionati a cui partecipavano l’Ilva, il Maddalena, il Garibaldi e il Corona. Davamo appuntamento al gestore del locale, chiamavamo qualche ospite addetto ai lavori-colleghi giornalisti, dirigenti sportivi, atleti- ci posizionavamo e invitavamo le persone a dire la loro. I proprietari dei locali ci ospitavano volentieri, giacché per loro si trattava in effetti di avere una pubblicità visiva sin troppo a buon mercato, e noi facevamo il nostro mestiere di cronisti in un mondo nuovo e simpatico. Per motivi tecnici, successivamente, la trasmissione fu sospesa, e non fu mai replicata in futuro. Ma resta un fatto importante nella storia della comunicazione di massa a La Maddalena”.
Chiudo qui. Penso che basti. Il resto rimane dentro di noi.
Ti saluto con affetto
Tore Abate
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