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Galleria …’Qualcuno che possa far qualcosa’…

ex arsenaledi Gabriele Rabuini

In merito all’articolo “Arcipelago La Maddalena vendesi: rivolgersi ai politici regionali, galluresi e comunali” pubblicato il 26 settembre c.m. su liberissimo.net e ripreso il giorno successivo come argomento di approfondimento sulla bacheca fb dell’amico Antonello Sagheddu, porgo la mia opinione di giovane cittadino che spero sia motivo di stimolo e riflessione al sentito dibattito che riguarda tutti noi, nessuno escluso.
Anzitutto, per poter fare un’analisi obiettiva e seria, occorre affrontare la questione a mente libera, senza pregiudizi e disposti a riconoscere le proprie responsabilità senza tentare di scaricarle ipocritamente agli altri nell’italico tentativo di ripulirsi la coscienza a spese dell’altro.
Partiamo da un dato di fatto: il paese e’ in condizioni socio-economiche disastrose. Ormai qualsiasi riferimento a ciò che un tempo era fonte del nostro benessere è venuto meno; tutto è diventato “ex”…
L’ex Arsenale, l’ex Club Mediterranee, l’ex Ospedale Militare, l’ex Ospedale Civile (intesa come struttura efficiente come lo fu negli anni ’80 e ’90), l’ex Tribunale, l’ex Ammiragliato, l’ex Valtur (riaperta a fine luglio, in cui da anni vi trovano lavoro più stranieri che maddalenini), l’ex Base americana (anche se su questo punto le responsabilità sono circoscritte alla nostra fetta decisionale), l’ex Ufficio di collocamento (seppur perso anni or sono) e via discorrendo…
E’ chiaro che non tutte queste “pratiche” ricadono direttamente in termini di responsabilità in capo a noi isolani, ma costituiscono pur sempre un pesante monito di sconfitta per la città e per noi stessi.
Diciamo le cose come stanno: la popolazione, si è sempre manifestata apatica, distaccata ed indifferente alle emergenze;quasi disinteressata ai problemi che via via la colpivano o che toccavano a turno, a seconda delle circostanze, vari concittadini. Salvo poi, a disastro compiuto, riempire le bacheche su face book con sterili considerazioni di sdegno o di dispiacere last minute. O, ancora, avviare interminabili discussioni ai tavoli dei bar locali, stile Processo di Biscardi, nel goffo tentativo di individuare a tutti i costi un colpevole da mettere alla gogna. Solitamente l’amministrazione comunale in carica. Magari fosse così semplice! Le colpe come detto, sono da ripartirsi tra tutta la comunità, nella sua diversa articolazione.
Quando c’era la vertenza traghetti-Saremar, a movimentarsi sono stati quasi ed esclusivamente i dipendenti di quella societa’ e le loro famiglie; idem (o poco più) per Enermar. E per l’arsenale (ai tempi) o per gli ex americani o ancora, per le case da far sfollare in zona Moneta… Ci si divide sempre in fazioni. I guelfi e i ghibellini che si fronteggiano sulla base di interessi o di antipatie anziché ragionare sui principi e obiettivi comuni. In questi ultimi mesi ci siamo battuti per trasporti ed ospedale (temi caldi dell’inverno che verrà, insieme all’immancabile crollo dei consumi e alla relativa chiusura di tante attività) e non si e’ visto nessuno…
Insomma, la cultura dell’assistenzialismo, dell’affidamento in “qualcuno che possa far qualcosa”, dell’intervento della Provincia, della Regione, dello Stato, dell’Europa e di Dio…, la politica dell’attesa e del rinvio… oramai le castagne dal fuoco non ce le leva più nessuno. A causa della politica economica e finanziaria a dir poco discutibili dell’Europa delle banche, lo Stato non è più tanto un padre (come dovrebbe essere), ma assomiglia ad un desposta, assetato di risorse da offrire ai banchieri internazionali. In uno scenario così difficile male facciamo se non ci affidiamo a noi stessi.
Questo modo di fare, basato su clientele e convenienza farcita da egoismo, ci ha portati al collasso. L’ ingordigia ha consegnato anche ai figli dal sangue blu l’ eredità di un paese distrutto, dove l’unica strada per garantirsi un futuro appare quella dell’ estero. L’isola e’ come un’Italia in miniatura. Alla deriva, dove ci si ostina a scaricare il barile e a cercare il capro espiatorio. Ma non si cambia nulla, al massimo si rinvia, perché chi ha posizioni di vantaggio si ostina a difenderle a scapito dell’altro. E’ la “Casta” che si autotutela e autoconserva. Ci sono i vassalli che sempre più imperano sui figli della gleba a loro inutilmente e scioccamente asserviti; una tragedia che ridipinge uno scenario sempre più medievale.
Per cambiare, è necessario spezzare queste catene e liberarci da questi vincoli. Sia a livello nazionale che periferico. Dobbiamo partecipare maggiormente e parlare di meno. Iniziamo a vagliare nuove possibilita’ di sviluppo, avanziamo proposte che possano portare qualche posto di lavoro per i giovani che sono il patrimonio più importante che una società ha e che noi stiamo dilapidando. Io personalmente sto lavorando su dei progetti(anche) importanti; alcuni fattibili in tempi ristrettissimi (mesi)poiché riguardano la riorganizzazione dell’esistente, altri, di più ampio respiro (ma fattibilissimi e finanziabili dall’UE, con tanto di business plan e progetti realizzati da studi di ingegneria specializzati), per tentare un rilancio economico (posti di lavoro ed enormi risparmi per le famiglie), in un’ottica più sostenibile e rispettosa del nostro territorio e delle sue splendide risorse culturali ed ambientali. Vorrei che lavorassimo per favorire una maggiore presenza del pubblico in alcune attività economiche da avviare e/o promuovere (sinonimo di garanzie maggiori per i lavoratori), perché i proventi non li può mettere in tasca uno solo: la ricchezza prodotta va distribuita tra la gente. Infatti, il disagio e il malessere sociale (ed economico) sono cresciuti a dismisura e tutto ciò è preoccupante. La speranza tra i giovani isolani di poter programmare qui il proprio futuro, è praticamente morta. Provo dolore e frustrazione quando vedo tanti amici – tra cui moltilaureati o comunque persone altamente professionalizzate – dover lasciare l’isola con le lacrime agli occhi perché vorrebbero restare ma non possono perché qui non ci sono possibilità per loro. Quanti, per motivi di studio o di lavoro sono finiti anche in capo al mondo, abbandonando famiglia, amici, casa…??! Attenzione però: oggi, non è neanche più tanto facile “far di necessità virtù” e chiudere le valigie per realizzarsi “fuori”. Perché l’America ormai non c’è più da nessuna parte o, comunque, pochissimi la trovano. Siamo la generazione degli eterni precari dove l’unica certezza è rimasta la famiglia. Ereditiamo un mondo di macerie, ma abbiamo il dovere di cambiarlo, per noi e per gli altri. Dobbiamo pertanto, ripartire dalle certezze, quindi da casa nostra, perché vivere qui non è una sfortuna ma un privilegio. Dobbiamo invertire questo trend negativo! Inoltre, noto con piacere che molti giovani isolani stanno attivandosi con successo in vari settori della vita sociale. Dalla “movida” al volontariato. Ciò è lodevole e ci dà una speranza. Bisogna che i grandi credano di più nei giovani e diano loro delle opportunità.
Basta con l’indifferenza, l’arrivismo e le invidie. Il nostro futuro non lo possiamo far pianificare ad altri, perché non ci riserverebbero nulla di buono. In una società in declino a causa della crisi di valori, chi si impegna per l’altro fa anche il proprio bene!
A tal proposito, faccio mio un saggio brocardo Kennediano: “non chiediamoci cosa lo Stato (o l’istituzione) può fare per noi, ma ciò che noi possiamo fare per lo Stato”.

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